Adriano Salani Editore (2009)
“Questa non è un’autobiografia”, dice lo stesso Dahl all’inizio della prefazione del suo libro Boy, scritto nel 1984 all’età di 68 anni. E l’incipit della stessa premessa ne spiega il motivo, quando lo stesso afferma, categorico: “Un’autobiografia è quel libro che si scrive per raccontare la propria vita e che generalmente è zeppo di ogni specie di particolari noiosi.”
Sembra quasi che Dahl utilizzi uno stereotipo per lasciarsi mano libera nel riportare i suoi ricordi d’infanzia senza essere costretto a rispettare limiti predefiniti dalla tipologia di scrittura indicata. In realtà la descrizione dei ricordi del periodo di infanzia si apre con riferimenti al padre ed alla sua famiglia –in particolare lo zio Oscar cui il padre era molto legato e che iniziarono la loro avventura fuori casa fuggendo insieme-; prosegue individuando una partizione di quattro periodi dell’infanzia ben distinti – il giardino d’infanzia dei sei-sette anni, la scuola preparatoria maschile dai sette ai nove anni, il collegio dai nove ai tredici anni, un famoso collegio privato e il primo lavoro alla Shell dai tredici ai venti anni-; si conclude, provvisoriamente, con una possibile ipotesi di prosecuzione: “E’ un’altra storia e, se tutto va bene, magari mi salta il ticchio di raccontarvela, uno di questi giorni.”
Si tratta quindi di un’autobiografia limitata all’infanzia (intesa come periodo precedente la maggiore età), sorretta fra l’altro da una documentazione epistolare molto consistente, che viene riportata in frammenti lungo il testo. Roald Dahl, infatti, nei lunghi anni trascorsi lontano da casa nei collegi ed in giro per il mondo, scrisse a sua madre almeno una lettera alla settimana dal 1925 al 1957, anno in cui sua madre morì e lui stesso scoprì che tutte le lettere erano state gelosamente conservate.
Ma qual è il particolare interesse di questo volumetto di duecento pagine di ricordi, foto, cartoline ed illustrazioni del suo ‘illustratore ufficiale’ Quentin Blake? Personalmente la cosa che più mi ha colpito è lo scoprire che i terribili, avvincenti ed inconsueti personaggi che hanno reso famoso lo scrittore Roald Dahl (i giganti crudeli, la Spezzindue, la nonna maligna, per non citarne che alcuni) sono la semplice riproposizione solo parzialmente enfatizzata di personaggi adulti realmente esistiti nell’infanzia dello scrittore. Mr. Coombes della Scuola della Cattedrale di Llandaff, il direttore della Scuola privata di St. Peters, la sorvegliante della stessa scuola, l’insegnante Capitan Hardcastle, i Boazer che avevano diritto di vita e di morte sui più piccoli, il direttore di Repton (che diventerà addirittura Arcivescovo di Canterbury!) sono altrettante figure di presunti ‘educatori’ che utilizzano sistematicamente punizioni corporali e creano spesso un clima di vero e proprio terrore fra i ragazzi.
Insomma l’infanzia di Raold Dahl, pur essendo per molti aspetti privilegiata per l’appartenenza all’ambiente borghese medio-alto del tempo, sembra la descrizione di un percorso resiliente, la dimostrazione di una forza interiore che gli consente di superare le vicissitudini avverse, ricostruendole in avvincenti ed originali trame narrative.
Con qualche puntata meno tetra, come nel capitolo ‘cioccolato’ del testo in questione dove un episodio assolutamente inconsueto spiega le origini del famoso libro ‘La fabbrica di cioccolato’.
Ma per gustare al meglio gli intrecci fra il percorso dell’infanzia autobiografica dell’autore, le trame narrative da lui elaborate nel tempo ed i famigerati personaggi che lo hanno reso famoso, occorre seguirlo nel suo percorso fra infanzia, scuola, Palle Arcobaleno, topi morti, Boazer e vacanze estive nelle isole norvegesi. (G.M.)