Copertina-MONTEMURRO-L'inferno avrà

La paura è più forte quando non ha nome
Newton Compton Editori – Roma (2013)

L’intreccio fra ricostruzione biografica di un delitto compiuto più di 10 anni fa da tre adolescenti e spunti autobiografici che intrecciano fra loro lo stesso luogo di origine -la Valchiavenna-, il disorientamento adolescenziale -i timori di trovare troppi punti in comune fra sé e le altre- e un’indagine approfondita sugli aspetti criminologici della vicenda -una tesi di laurea validamente sostenuta un paio di anni prima della stesura del volume- danno origine ad una avvincente trama narrativa che si snoda entro un percorso punteggiato dal succedersi dei contributi tratti ‘Dal diario di Silvia’.
Riflettere su di un episodio terribile prima ancora che inquietante, che viene inquadrato fin dalla copertina entro una successione dal finale sconcertante -Un piccolo paese di provincia. Tre adolescenti annoiate. Una suora brutalmente uccisa- è già di per sé indice di una necessità sicuramente minoritaria di esplicitare e condividere di contro all’urgenza maggioritaria di rimuovere e dimenticare più in fretta possibile.
Utilizzare il linguaggio più ‘scientifico’ ed al contempo oggettivante della tesi di laurea come incipit dello sviluppo narrativo sembra risuonare come un accostamento ponderato ancorchè ardito.
Ma completare la trama mettendo in gioco una scrittura del momento che può assumere anche un’importante funzione di cura in termini di auto aiuto –D. Demetrio-, o ancora un luogo in cui esperire se stessi…una bozza di se stessi –P. Lejeune-, quale è il diario, tratteggia un coinvolgimento autobiografico genuino e diretto che, per quanto possa essere stato piegato alle esigenze della narrazione, delinea un mettersi in gioco che non teme eventuali contaminazioni.
Vanessa, Elena e Samantha rappresentano denominazioni di fantasia di giovani ragazze che, con altre identità, hanno scontato la loro pena o stanno finendo di scontarla in regime di semilibertà; Silvia, quasi a rifiutare distanze eccessive fra finzione e realtà, rimane Silvia.
Così come Vanessa/Ester, Elena e Samantha monopolizzano i titoli dei capitoli -viene citata infatti 15 volte su 17 la prima, 7 volte la seconda e 6 volte la terza-, il ‘diario di Silvia’, pur assente dall’indice, entra in gioco per ben 22 volte lungo il testo.
Le citazioni dalla tesi, poi, si aprono con un incipit rivolto alla comprensione dell’inspiegabile: “Compito di chi studia il fenomeno criminale è proprio quello di ridurre la differenza fra la vittima e il reo, per cercare di rendere maggiormente comprensibile il reato, in un procedimento di umanizzazione e comprensione relazionale, che porti alla valutazione di azioni all’apparenza inspiegabili”, mentre l’ultima citazione viene significativamente centrata su di un perdonarsi niente affatto scontato: “I passi del perdono di sé possono essere delineati facilmente, ma è il percorso soggettivo dell’individuo che ha commesso il crimine a decidere quanto tempo passerà prima di riuscire a perdonarsi.”
Molte altre potrebbero essere le chiavi di lettura da proporre, ma il suggerimento più agevole è quello di farsi catturare dall’intreccio narrativo che porterà in un soffio al termine delle 280 pagine del volume.
Come scrive una donna nella stesura pressoché giornaliera del suo diario” …Lo scrivere è come un bambino a cui abbiamo dato la vita e che bisogna poi lasciare, ad un certo momento, perché possa vivere vicino a noi, ma senza di noi” (A.G.). Silvia Montemurro sembra essersi cimentata con successo nella realizzazione di un originale mix di narrazioni, riflessioni, dissertazioni, stesure diaristiche e interrogativi esistenziali che certamente le appartiene ma, al contempo, sta già percorrendo le strade del mondo. (G.M.)

 

La recensione è stata pubblicata anche sul sito della Libera <università dell’Autobiografia all’indirizzo:

http://www.lua.it/index.php?option=com_content&task=view&id=2935&Itemid=109

Di seguito la recensione  appositamente predisposta e pubblicata sulla Rivista Minori Giustizia, n. 3/2013:

http://www.francoangeli.it/Riviste/Scheda_Rivista.aspx?idArticolo=49345  (riferimento bibliografico)

L’inferno avrà i tuoi occhi

La sera del 6 giugno 2000 suor Maria Laura Mainetti usciva dal suo convento a Chiavenna per recarsi ad incontrare una ragazza che le aveva telefonato dicendole di essere stata violentata e essere rimasta incinta e chiedendo di essere aiutata. Era un’esca inventata da tre ragazze minorenni, di sedici-diaciasette anni, per poter incontrare la religiosa in un luogo isolato e qui ucciderla come sacrificio a Satana.

Un delitto terribile, prima ancora che inquietante, che aveva suscitato allora un enorme sgomento, su cui ritorna il romanzo di Silvia Montemurro, L’inferno avrà i tuoi occhi (Newton Compton Editori, Roma 2013, p. 283, euro 9,90). L’autrice aveva tredici anni quando le ragazze avevano ucciso la suora, a due passi da casa sua e da tutto ciò che era il suo mondo, e poi si è laureata in criminologia nel 2011 con una tesi proprio su quel delitto. Questo romanzo successivo è frutto di una necessità, sicuramente minoritaria, di esplicitare e condividere una vicenda che lei ha partecipato direttamente e ha conservato dentro di sè nel tempo, di contro all’urgenza maggioritaria di rimuovere e dimenticare il più in fretta possibile.

Il racconto rappresenta perciò un mix fra ricostruzione del delitto (un’indagine approfondita sugli aspetti criminologici della vicenda studiati per la tesi di laurea) e spunti autobiografici che intrecciano fra loro lo stesso luogo di origine (La Valchiavenna) e il disorientamento adolescenziale dell’autrice (con i timori di trovare troppi punti in comune fra sè e le altre protagoniste). Il tutto si snoda entro un percorso punteggiato dal succedersi dei contributi che l’autrice ha tratto direttamente dal suo diario, in un coinvolgimento autobiografico genuino e diretto: non a caso, Silvia l’autrice rimane ‘Silvia’ nello scritto che, per quanto possa essere stato piegato aller esigenze della narrazione, delinea un mettersi in gioco che non teme eventuali contaminazioni.

La trama, con il filo narrativo del diario di Silvia a questa saldamente ancorato, appare sia una scrittura del momento che può assumere anche un’importante funzione di cura in termini di auto aiuto (Duccio Demetrio), così come un luogo in cui esperire se stessi…una bozza di sè stessi (Philippe Lejeune), in un’originale alternanza di narrazioni, riflessioni, dissertazioni, stesure diaristiche e interrogativi esistenziali.” (G.M.)