Mondadori – Milano, 2010
L’ultima fatica di Andrea Gallo, coadiuvato da Simona Orlando, ‘Così in terra, come in cielo’, rappresenta un intreccio inestricabile fra ricostruzione autobiografica di vissuti, emozioni ed incontri; tracce biografiche di storie di vita riassunte a volte in poche battute che rappresentano un mondo di persone altrimenti votate alla più completa invisibilità; ricostruzione della ‘Comunità di San Benedetto al Porto di Genova’ intesa come creatura vivente, pulsante ed inscindibile dalla figura del suo fondatore.
Non si tratta quindi della semplice prosecuzione dell’autobiografia di Don Gallo stampata cinque anni fa sempre da Mondadori e già recensita sul sito della LUA (Angelicamente anarchico – Autobiografia), bensì di un testo autobiografico, ma anche biografico, ed ancora di storia (di parte!) della politica contemporanea.
Il libro può essere letto meditandolo a lungo, oppure, più proficuamente a mio avviso, prima letto tutto di un fiato e poi meditato a lungo. Impossibile leggerlo senza sentirsi coinvolti: ma se per caso capitasse a qualcuno, meglio chiuderlo e donarlo a qualcun altro, sicuri di aver fatto comunque una azione buona e meritevole.
Per non far stemperare l’importanza del lavoro di Don Gallo con la stima e l’amicizia che a lui mi lega, mi è sembrato più opportuno e proficuo far parlare le sue parole.
E come non iniziare dalle prime battute? – “…il vescovo…telefonò a mia madre chiedendole di fare pressioni su di me affinchè scegliessi <obbedienza o catastrofe>. Optai per l’obbedienza e per loro fu una catastrofe” (1970).
Ecco come Don Gallo si auto-presenta, come un prete ‘obbediente/disobbediente’. Ma proseguendo nella lettura emerge una figura anomala, umana ed empatica, compartecipe delle storie degli altri fino allo sfinimento (“Ad un certo punto della mia vita non sono più riuscito a sopportare il peso di queste storie. Crollai, infinitamente stanco, in una profonda crisi depressiva…Ne uscii dopo tre mesi, ma rischio di diventare matto ogni giorno…”), ma anche autoironico (“Fortuna che ho molti amici psichiatri.”), in poche parole, unico.
Amico dei ‘grandi’ (Fabrizio, Vasco, Cisco, Piero, Roy, Manu Chao, Fernanda, Beppe) è allo stesso tempo padre e amico per gli ultimi (il ragazzo della poesia ‘Bianchi saranno i corvi, nera verrà la neve, prima che io ti dimentichi’, Michele, il ragazzo che vendeva un libriccino di sue poesie ciclostilate, Rino, Sergio, Alfredo, l’Arcangelo, Santino, Roberta e molti altri).
Rappresentando il suo credo spesso con le parole degli altri. Come nel caso del Comandante Marcos, quando dice: “Vogliamo la luce. Per noi niente, tutto per tutti”.
Don Gallo ha quindi una fiducia illimitata nelle potenzialità del singolo, ma non solo. Afferma infatti di avere un sogno dichiarato: “Sogno che le mie Comunità spariscano” e conclude con una professione di fede nell’intero genere umano: “Vorrei che fossero meno indispensabili (le mie Comunità)…e che sia la Comunità umana a prendersi cura dei ragazzi perché se noi siamo pronti a curarli loro sono pronti a guarirsi.” Ed è con questa forza profetica che riesce ad assicurarsi l’amore e l’affetto degli ‘amici’ ma anche il rispetto dei ‘nemici’ (perlomeno di quelli ‘in buona fede’, che sono gli unici degni di nota). (G.M.)
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