“Verso un approccio pedagogico e psico-sociale nelle formazioni a livello nazionale”
di Giorgio Macario[1]
Il presente contributo reagisce a delle proposte di riflessione, cercando di proporre a sua volta alcuni spunti: anzi si potrebbe dire che è stato pensato più come una aggregazione di spunti di riflessione tratti in particolare dall’ultimo decennio che mi ha visto impegnato in ambito formativo, che non come tentativo di sistematizzazione.
Le narrazioni biografiche, per essere tali, devono essere tenute in contatto con i vissuti autobiografici di ciascuno, formatori compresi.
E’ questa una prima particolarità nel come interpretare, in questo caso, gli strumenti che vengono proposti nel lavoro formativo: non asettiche dotazioni tecnicizzate che vengono assimilate anche superficialmente per essere ‘spese’ in maniera un po’ indifferenziata nei contesti formativi che via via si presentano, bensì proposte sufficientemente interiorizzate che possono essere utilizzate in setting prioritariamente dedicati al tema (laboratori biografici ed autobiografici) oppure inserite e sperimentate in diversi contesti formativi dedicati ad altro, per migliorarne l’efficacia, ma anche la vivibilità.
Le esperienze alla base di queste riflessioni sono relative al secondo contesto prefigurato. Pur essendo nel comitato scientifico della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, fondata e presieduta da Duccio Demetrio, e svolgendo alcune attività di collaboratore scientifico, lettore di autobiografie, ecc., la mia attività principale è, da oltre 20 anni, quella di formatore e consulente in alcune situazioni significative.
In questi contesti – l’Istituto degli Innocenti di Firenze, il Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, la Commissione per le adozioni internazionali e l’Università di Genova– ho cercato di portare l’approccio biografico ed autobiografico come area di sensibilizzazione, appunto, per un migliore accompagnamento formativo ed in parte organizzativo.
Nella convinzione, che ritengo si stia diffondendo più che nel passato, che “I vissuti esperienziali …(siano) decisivi negli orientamenti di senso che generano benessere per il singolo lavoratore e per l’organizzazione, determinando la qualità delle risposte che questa è in grado di fornire.”[2]
Ma partirei dalla relazione di Franca Olivetti Manoukian presentata alle Giornate dello Studio APS del 2009 su ‘Politiche della formazione: opzioni, iniziative, esiti’. Ebbene la mia lettura, e non poteva essere altrimenti, si è orientata ai riscontri sul registro autobiografico utilizzato (fin dalla ‘Premessa ovvero un riferimento autobiografico: il senso politico della formazione e la mia storia’) che danno un senso molto ‘partecipato’ alle riflessioni successive, fino alle considerazioni conclusive, quasi un ‘decalogo riflessivo’ (quasi perché sono 9 i punti indicati).
E proprio da questi mi sembra interessante partire, dalle ‘direzioni possibili, che orientino verso un nuovo senso politico’ per descrivere, molto sinteticamente, quanto ho cercato di concretizzare in particolare negli oltre 10 anni di attività formative nazionali, prima sui temi dell’infanzia e adolescenza (per favorire l’applicazione della L.n. 285/97) poi ed ancora adesso su quelli delle adozioni internazionali (per favorire l’applicazione della L.n. 476/98), realizzando attività formative rivolte ad alcune migliaia di operatori, dirigenti e funzionari provenienti da tutte le Regioni.
I punti del ‘quasi-decalogo’ di Franca Manoukian che sono entrati in risonanza con la mia esperienza sono quattro e con alcune criticità un quinto.
Primo punto
Entrare in contatto con il contesto entro cui si delinea la possibile realizzazione di una attività, i contesti organizzativo, territoriale e generale.
Non è semplice farlo in contesti nazionali che sono di per sé più distanti dalle situazioni operative. Ma è proprio il dato di continuità (oltre il 50% dei partecipanti è ‘di lunga data’ e circa un quarto seguono la formazione dal suo inizio nel 2001, per quanto riguarda le adozioni internazionali), ed anche l’identità trasversale sia regionale, che professionale ma anche interprofessionale di ‘scopo’ potremmo dire, che aiutano ad avvicinare e ri-conoscere i contesti.
La ricognizione precedente alle azioni formative sulle esperienze significative realizzate nei diversi contesti è il primo gradino che aiuta in un riconoscimento di capacità e significatività del proprio operato.
Ad esempio, su di un tema piuttosto ‘difficile’ quale l’attesa delle famiglie nelle adozioni internazionali, si osservava: “La diffusa presenza di interventi da parte degli Enti autorizzati, attuali protagonisti principali della fase dell’attesa, è stata confrontata con le contenute esperienze programmatorie e attuative delle Regioni e dei Servizi territoriali, allargandosi in alcuni casi utilmente alle pur contenute funzioni in tema del tribunale per i minorenni. D’altra parte, la stessa progettazione dell’intero percorso è stata integrata da una articolata ricognizione dei servizi promossi dagli Enti autorizzati, dalla raccolta di alcune esperienze programmatiche ed attuative da parte delle Regioni e delle Province autonome e da due focus-group appositamente realizzati.”[3]
Secondo punto
‘Organizzarsi’ per connettere punti di vista diversi e interazioni fra diversi, per sperimentare interazioni disimmetriche mobili.
Le organizzazioni temporanee, ma anche le ‘comunità di pratiche’, cui accenno brevemente, sono uno dei punti forza dell’intervento formativo che si è costruito negli anni.
Dopo la sperimentazione con la L.n. 285/97, che ha portato diversi dirigenti a livello nazionale a lamentarsi dello spostamento di personale sulla 285 anche perché era possibile la partecipazione ad attività formative nazionali significative e rimanevano sguarniti altri settori, con le adozioni internazionali si è partiti da una situazione di distanza e di conflitto fra i diversi interlocutori, e si è favorita una evoluzione molto più dialogante e trasversale. Anche attraverso riflessioni professionali e biografiche/autobiografiche intrecciate che hanno consentito un avvicinamento fra lo ‘zoccolo duro’ del professionale (i servizi territoriali con le loro valutazioni e lo ‘studio di coppia’ come punto focale delle dimensioni valutative, in realtà sempre più orientate all’accompagnamento) e i raggruppamenti del ‘personale che evolve verso il professionale’ (quali sono gli Enti autorizzati, organizzazioni non profit spesso costituite in origine da nuclei di famiglie adottive, orientati al ‘risultato’ adottivo e, naturalmente, alla tutela dell’infanzia).
L’avvicinamento riflessivo avviene su di un terreno intermedio che è proprio il ‘professionale umanizzato’, dove l’accompagnamento e l’evoluzione conta più della valutazione e dove i percorsi dei singoli operatori riescono a ‘mettersi nei panni’ dei genitori adottivi (si pensi agli Stage all’estero organizzati in est Europa nel 2004 o al recentissimo stage in Brasile del settembre 2009); ma dove anche gli operatori degli Enti rendono più accessibile il loro ‘know-how’ esperienziale costruito nel tempo, attenuando il timore di poter essere ‘sostituiti’.
Scrivevo già diversi anni fa: “L’esperienza formativa fra adulti ha anche rappresentato una agorà dove le diverse identità personali, sociali, collettive, organizzative e professionali si sono palesate, misurate, scontrate e quindi incontrate e confrontate, drammatizzando, per molti aspetti, tutte le distanze possibili esistenti nel settore.(…) Il confronto costruttivo generato in un setting di tipo formativo…è stato caratterizzato da proposte volte a superare le stereotipie identitarie: una volta abbattuti alcuni muri di diffidenza reciproca, i fattori di vicinanza sono risultati prevalenti, in un’ottica non più ideologicamente centrata sulle diverse concezioni dell’infanzia che tendono a fissarsi, a ipostatizzarsi, ma molto più pragmaticamente orientata alla valorizzazione costruttiva dei diversi percorsi esperienziali.”[4]
Inserirei a questo punto un altro riferimento autobiografico[5], dove si rimarcava che ‘una quota assai significativa della nostra identità lavorativa e non, è costituita in quei contesti’ – le organizzazioni lavorative-, perché connesso anche alle organizzazioni temporanee.
Il contesto di formazione nazionale per le adozioni internazionali si è delineato infatti come una comunità temporanea, definita in evoluzione: ‘comunità di pratiche’ ma anche ‘comunità di pratiche e di pensiero’ man mano che cresceva l’auto-riconoscimento non solo sull’operatività bensì anche sulle evoluzioni riflessive e sulla possibilità di promuoversi anche in ruoli più impegnativi.
Un riscontro indiretto dell’esistenza di una tale ‘organizzazione temporanea’ nella mente e nei contributi identitari ed evolutivi offerti dagli operatori è data dalle indagini parlamentari del 2004 sia su condizione dell’infanzia che su affidamento e adozione, che hanno auspicato il mantenimento e l’estensione di tali apporti formativi nazionali su indicazione degli stessi operatori in diverse parti d’Italia. Riscontro che prosegue negli anni attestato da altri indicatori.
Terzo punto
‘I ruoli tradizionali di committenti e fruitori, formatori e formandi, progettisti ed organizzatori non possono essere riproposti automaticamente: si ridefiniscono in funzione delle questioni e delle specificità soggettive…’
Questa osservazione mi sembra strettamente legata ai fattori di autostima ed alle nuove sfide di quella che in una recente pubblicazione ho definito la ‘piramide della qualità’ prendendo a prestito, da riflessioni che mutuate sia da Achille Orsenigo che da Franca Olivetti Manoukian, il passaggio dall’essere soggetti attivi, ad attori, ed infine autori.
Tutto il contesto formativo, necessariamente non estemporaneo perché non consentirebbe la presenza di dati biografici/autobiografici intrecciati, ha visto una evoluzione, una commistione e dei passaggi significativi dall’essere ascoltatori a protagonismi più diffusi.
Le variazioni sul tema di questa promozione progressiva di capacità sono molteplici:
-dall’avere voce in capitolo da parte dei partecipanti nelle pubblicazioni realizzate, con riflessioni ma anche vissuti emozionali elaborati;
-alla partecipazione a tavole rotonde interne al contesto formativo ed alla presentazione di riflessioni su esperienze e buone prassi, sia da partecipanti che da ospiti appositamente invitati;
-dalla ‘promozione’ di alcuni operatori a relatori, rimanendo magari partecipanti in un’altra edizione dello stesso seminario, e promuovendo una progressione in una ulteriore piramide che illustra anche il passaggio PRASSI-TEORIA-PRASSI fino al 2° livello (riflessioni sulle proprie prassi) ed anche al 3° (nuove prassi e proposte formative e di pensiero sulle prassi);
-alla creazione, accanto ad uno staff di tipo adhocratico che si attiva con le nuove proposte formative utilizzando formatori ed esperti con una solida preparazione ma anche in sintonia con l’impostazione metodologica, di un pool di operatori coinvolgibili in molteplici iniziative (ad esempio in una recentissima formazione di un gruppo di responsabili per l’infanzia e l’adolescenza della Repubblica Socialista del Vietnam, almeno quattro dei relatori coinvolti avevano partecipato pochi mesi prima ad una precedente esperienza realizzata in Brasile).
Quarto punto
Riprendo quel passaggio indicato, che invita a ‘far crescere dei riconoscimenti accomunanti…(per) sentirsi e essere considerati parti attive e fattive nella ricerca e nella costruzione di qualcosa…(di) significativo e prioritario’.
Quando le persone vengono coinvolte in queste attività (ma già quando prendono parte alle attività formative da partecipanti) si mobilitano, investono energie e capacità, bypassano qualsiasi impedimento strutturale che sia umanamente possibile superare.
E questo ritengo sia già un segnale di riattivazione di ‘energie desideranti’.
Certo non sufficiente a prefigurare cambiamenti organizzativi sostanziali nelle rispettive organizzazioni, ma spesso correlato ad input apprenditivi ed organizzativi che vengono estesi alle proprie organizzazioni di appartenenza.
Certo in alcuni casi limite può maturare un abbandono della stessa organizzazione: ma anche in questo caso si tratta di un segnale vitale se riguarda la sopravvivenza in organizzazioni che mortificano le capacità del singolo.
In questo senso credo si possano intrecciare una lettura biografica rivolta al singolo ed ai singoli, con una lettura relazionale orientata ai gruppi che si aggregano e si scompongono (simulando una maggiore mobilità anche nel contesto lavorativo di appartenenza – ad esempio alternando nell’accompagnamento formativo il lavoro comune di persone della stessa regione, con un lavoro che interseca le appartenenze regionali-) ed infine una lettura più sistemica e sovraordinata rivolta alle organizzazioni (che nel caso di formazioni nazionali spesso possono rimanere sullo sfondo, ma sono non di rado evocate come realtà che inviano e che riaccolgono, finalizzando gli apporti formativi realizzati).
La spinta motivazionale che si estende alla gran parte dei partecipanti crea a cascata nei diversi ambiti locali una significativa sensibilizzazione ed un clima favorevole al miglioramento; ma la forte spinta motivazionale di singoli particolarmente influenti (si pensi al Presidente di un Tribunale per i minorenni in una Regione fortemente in ritardo nell’organizzazione dei servizi che, a seguito dell’attività formativa frequentata, aggrega gli altri soggetti e favorisce la realizzazione di specifiche delibere regionali in tema e il concreto avvio dei servizi) può coalizzare risorse ed energie in maniera sinergica.
Quinto punto
E’ quello che riguarda gli aspetti più critici.
Come si può “contenere la paura di raccogliere segnali disconfermanti”, mediante “iniziative che non ripetono automaticamente assetti relazionali e saperi costituiti e che permettono inediti riconoscimenti”?
Questo credo possa essere fatto solo in parte, perché la tematica si connette più strettamente anche alle figure dei committenti, che rappresentano naturalmente una variabile centrale per determinare le politiche formative concretamente realizzabili in un contesto dato.
Nei casi principali di formazioni nazionali citate in avvio, la presenza di committenti istituzionali di livello elevato e la finalità formativa più o meno esplicitamente prevista e finanziata nei dispositivi legislativi (le due leggi citate), unitamente ad una relativa autonomia scientifica ed organizzativa supportata da un’organizzazione e da singoli esperti considerati su livelli di eccellenza, ha consentito di salvaguardare un contesto riflessivo per molti aspetti orientato all’autoformazione nei momenti intermedi.
E, cosa fondamentale, ha garantito una certa continuità’.
Certo la soddisfazione dei committenti e dei partecipanti è costantemente al centro, per garantire un tale equilibrio. Mentre valutazioni per certi aspetti più ‘raffinate’, articolate ed ‘esterne’ tendono ad essere poco compatibili con l’assetto delineato.
In sintesi quindi, ci si occupa di più di trasmissione di saperi costituiti o di costruzione di conoscenze? Ci si occupa del ‘semplice’ learn o del più complesso learn to learn, nell’alternanza indicata nel documento base delle giornate? E soprattutto come si può favorire una transizione verso complessità più proficue?
Riprenderei qui, in conclusione, quanto possa essere importante l’approccio autobiografico e l’introduzione della scrittura autobiografica.
Dice Duccio Demetrio: “Lo scrivere di sé promuove transizioni frequenti: dal particolare al generale, dalla singola vicenda alle eterne questioni, ritrovate nella storia del pensiero e del sentire umano.”[6] Ed ancora: “Se lo scrivere, a livello simbolico e reale, realizza il perseguimento di un luogo “protetto” a lungo ricercato “tutto per sé”, nondimeno, e allo stesso modo, è in grado –dovendo ispirarsi alle altre storie, alle cose, al divenire dell’esistenza- di alimentare una domanda di reinserimento, integrazione, riconciliazione con esperienze, alterità, storie altrui.”[7]
Certo un tale approccio non è facilmente proponibile in contesti di livello nazionale fortemente caricati di aspettative ed oggettivamente orientati a mantenere un certo equilibrio fra i diversi approcci al sapere (ad esempio in un seminario di taglio interdisciplinare di alcuni anni fa, dedicato ad approfondimenti psicologici, si è dovuto tradurre le principali coordinate secondo una lettura sistemica, psicoanalitica e cognitivista per favorire la comprensione reciproca fra tutti gli psicologi presenti e non solo!).
In contesti quali la consulenza assistita ad equipe educative o il lavoro con gli studenti in università la cosa è relativamente più facile. Ma va considerato che anche in contesti più ampi quali le formazioni di livello nazionale, vadano tentati approfondimenti in tal senso.
Ad esempio privilegiando l’aspetto metodologico, esemplificativo, esperienziale collegato alle tematiche trattate ed alla centralità narrativa dei percorsi biografici.
E’ già stato fatto con sistematizzazioni del responsabile scientifico e formativo, con l’intervento di esperti di livello nazionale, con il tentativo di proposte tramite i tutor nei tempi di inter-fase fra un seminario preliminare ed il relativo seminario di approfondimento.
Incentivare la scrittura su questo versante può anche essere una nuova frontiera da esplorare nei prossimi interventi. Avendo sempre presente che non si opera in contesti dedicati, ma in aree dove la finalità più adeguata può essere la sensibilizzazione, orientando le persone interessate verso eventuali proposte di approfondimento.
Con una costante finalità di destreggiarsi al meglio con la propria storia per poter meglio comprendere le storie degli altri.
E per riprendere una citazione che è stata utilizzata proprio nelle presentazioni delle attività formative nazionali, concluderei ponendo un interrogativo preso a prestito da Donald Alan Schon, padre delle riflessioni sul ‘professionista riflessivo’:
“Nella pratica professionale, vi è un terreno stabile che sovrasta una palude.
Nella parte superiore si collocano problemi che si prestano ad essere facilmente risolti.
Nella parte paludosa sottostante, problemi disordinati, indeterminati resistono a qualsiasi soluzione di tipo tecnico.
Il professionista deve scegliere. Egli starà in cima sul terreno stabile dove può risolvere problemi relativamente poco importanti in accordo con gli standard di rigore prevalenti, o scenderà nella palude dei problemi importanti e non legati a percorsi di indagine rigorosamente pre-definiti?” [8].
La seconda che hai detto, verrebbe da dire. Anche se non è facile.
Riferimenti bibliografici sui temi trattati nell’intervento a cura dell’autore
-G. Macario, “L’arte di educarsi”, Meltemi, Roma 1999.
-G. Macario, “L’arte di formarsi”, Unicopli, Milano 2008.
-G. Macario (a cura di), “Dall’Istituto alla casa”, Carocci, Roma 2008.
-Tre volumi sulla formazione nazionale L. 285/97(Quaderni del Centro nazionale di
documentazione n. 15 del 2000, n. 20 del 2002 e n. 35 del 2005)
(scaricabili dal sito www.minori.it)
-Quattro volumi sulla formazione nazionale L. 476/98 (Collana della Commissione adozioni internazionali n. 1 del 2003, n. 4 del 2005, n. 7 del 2008, n. 10 del 2010) più un quinto in fase di preparazione.
(scaricabili dal sito www.commissioneadozioni.it)
[1] Formatore e psicosociologo.
[2] V. Iori, in V. Iori, A. Augelli, D. Bruzzone, E. Musi, Ripartire dall’esperienza. Direzioni di senso nel lavoro sociale, Franco Angeli, Milano, 2010, p. 11.
[3] G. Macario, I tempi dell’attesa: una sfida formativa per la qualità, in G. Macario (a cura di), La qualità dell’attesa nell’adozione internazionale. Significati, percorsi, servizi, Collana della Commissione per le Adozioni Internazionali, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2010, p. 13.
[4] G. Macario, I percorsi formative dell’adozione internazionale in Italia, in G. Macario (a cura di), Adozioni internazionali sul territorio e nei servizi. Aspetti giuridici e percorsi formativi, Collana della Commissione per le Adozioni Internazionali, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2003, p. 304.
[5] A. Orsenigo, relazione introduttiva per le Giornate dello Studio APS del 2008.
[6] D. Demetrio, La scrittura clinica, Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2008, p. 14.
[7] D. Demetrio, 2008, op. cit., p.202.
[8] Donald Alan Schon, Educative the reflective practitioner. Towards a new design for teaching and learning in the professions, Jossey Bass, San Francisco 1987, p.3