Paride Batini: la sua vita, il suo porto – De Ferrari Editore (2010)
Se Paride Batini fosse ancora vivo, questa potrebbe essere la sua autobiografia. Nel senso che avrebbe potuto scriverla molto simile. Il testo, infatti, risulta alla lettura molto asciutto (introduzione, la vita, i testimoni, conclusioni) e piuttosto lineare com’era nel suo stile essenziale e diretto, pur restituendo una ricchezza ed una rettitudine umana ed etica che ha portato gli amici, i colleghi o anche i semplici conoscenti ad apprezzarlo e stimarlo, concedendogli il rispetto anche di chi era più distante da lui.
In realtà questa è una biografia scritta da Massimo Minella, un giornalista che l’ha seguito per 20 anni, perché Batini non è più nella ‘sua’ Compagnia Unica dei Lavoratori Merci Varie di Genova (la mitica CULMV) dall’aprile del 2009, quando è mancato alla vigilia della probabile decima rielezione come Console. Non casualmente, infatti, la lista a lui ispirata che si presenta nel maggio successivo ottiene in pratica una delega plebiscitaria.
L’orazione funebre nella sala chiamata del Porto, alla presenza di molte centinaia di colleghi, amici e conoscenti, viene tenuta da Don Andrea Gallo, con un discorso memorabile. Un prete ‘scomodo’ per onorare una figura quasi ‘mitica’ nella sua semplicità.
La biografia ripercorre le tappe essenziali della sua vita con un’analisi approfondita e partecipe svolta da un ‘cronista del ‘porto’ che Paride chiamò per tutta la vita ‘giovanotto’ (o meglio, Zuinotu), e con interviste successive ai familiari ed ai personaggi principali che con lui hanno vissuto e lavorato: dalla moglie Rosa e le figlie Mirella e Silvana all’amico pasticciere Mantero, dal Presidente della Regione Liguria Burlando al Console della Compagnia del dopo-Batini Benvenuti, dal Cardinale Bertone Segretario di Stato Vaticano al ‘prete di strada’ Don Andrea Gallo.
Ne emerge una figura integra, profondamente onesta, partecipe della sorte dei suoi simili, profondo conoscitore della natura umana ma allo stesso tempo tenace combattente.
Si legge nella biografia “I portuali sono così, indipendenti e un po’ anarchici, profondi conoscitori delle tecniche di lavoro, ma anche combattenti sempre in servizio contro le ingiustizie ed i soprusi, si battono per i principi e per i valori, per i diritti di chi soffre, anche se dall’altra parte del mondo.” “Una razza –dice lo stesso Paride- che emana un profumo di libertà.” E lui è un ‘primus inter pares’ in mezzo a mille portuali, ma probabilmente a questa affermazione avrebbe reagito con fastidio cercando di eliminare il ‘primus’.
Guida la Compagnia Unica per 25 anni attraverso sfide e mari perigliosi che avrebbero fatto tremare le gambe a chiunque; è sempre in prima linea a guidare i portuali in giro per la città tutte le volte che serve, senza personalismi, non disdegnando di partecipare ad un picchetto, di fare volantinaggi, di tornare in calata per un turno di lavoro, così come di incontrare controparti e maggiorenti di tutti i tipi pur di sostenere la Compagnia; non accetta né un regalo né uno sconto da alcuno; àncora il suo stipendio alla media delle entrate dei camalli non superando mai i 2000 euro al mese; e molto altro ancora si può leggere nel volume che alterna analisi e descrizioni puntuali ad aneddoti ed episodi toccanti. Fino alle vicende giudiziarie degli ultimissimi anni legate alla Compagnia, che l’hanno visto imputato e definitivamente scagionato solo nel novembre 2010 con una sentenza dove si legge: “La valutazione dei fatti in questa sede compiuta restituisce giustizia postuma all’uomo che, giova ripeterlo, nella sua qualità di Console ha avanzato pretese legittime.” Lui l’ha sempre saputo, gli amici non ne dubitavano, gli altri dovrebbero solo vergognarsi. (G.M.)